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L'OBOLO
Imparammo presto a traghettarci nella notte.
Gli occhi sgranati a colar lacrime di pece
la bocca arida di terrore nel silenzio
la pelle rugiada già all'inizio del navigare
le mani una coppa colma di lucciole
ingannevole aritmia per maléfici nocchieri.
E aspettavamo, aspettavamo,
con il gelo nelle vene
la mente una zavorra ormai gettata
l'anima venduta al primo istante.
E i démoni salivano dai sentieri del giardino
gli artigli carichi delle rose più belle
(arriviamo, bei bambini, arriviamo)
la nostra carne in piombo tremava sottovoce
le lunghe ali nere strisciavano per terra
il profumo diveniva intenso
aprivamo le dita una a una
la luce frullava un attimo
e subito moriva nello scatto ingordo
qualcosa poggiava su di noi
(no, io no, prendete gli altri)
e ansimanti e sfiniti
stavamo così fino al sentore del giorno.
Allora ci alzavamo gettando petali marciti
affondavamo le unghie nei capelli
con una luce in meno
e un macigno in petto.
Giulia Lenci
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